Fashion Revolution Week e il nostro armadio: i consigli per un guardaroba più sostenibile

Da ieri è iniziata l’ottava edizione della Fashion Revolution Week, la settimana dedicata alla sensibilizzazione dei consumatori e delle aziende su una moda più consapevole, sostenibile ed etica.
Il movimento è nato nel 2013, a seguito del tragico crollo dell’edificio Rana Plaza, in Bangladesh. Uno degli episodi più drammatici del mondo della moda, che ha causato la morte di 1.138 operai e ne ha feriti altri 2.500.
Una moda più equa ed etica è ciò che chiedono i promotori e i sostenitori della Fashion Revolution Week, che di anno in anno sta conquistando il consenso di sempre più persone. Durante questa settimana eventi, iniziative, talk, tavole rotonde per discutere dei cambiamenti che sono necessari per cambiare il settore della moda, diventando così più inclusivo e più rispettoso dell’ambiente e delle persone.
Nei prossimi articoli vi racconterò alcuni dei brand italiani (e non solo) che portano avanti con il proprio lavoro il concetto di moda sostenibile, aiutando noi consumatori a comprendere quanto sia importante cambiare e capire che dietro alla scelta di una maglietta c’è molto, molto di più di una tendenza da seguire o di un brand popolare.
Quello che è possibile fare però è iniziare a cambiare le nostre abitudini, su come scegliere i capi sì, ma anche come conservarli, come curarli e come liberarcene se non li vogliamo più.
Un anno di pandemia ha accelerato molto questo nuovo modo di concepire il settore dell’abbigliamento e i nostri acquisti, primo fra tutti l’importanza di scegliere materiali di qualità e prodotti il più possibile Made in Italy, lasciando da parte tutti quegli acquisti che ognuna di noi ha fatto nei negozi di fast fashion, che ci hanno riempito gli armadi, hanno fatto enormi danni al pianeta, costringendo tante persone a lavorare in condizioni disumane.

Con l’occasione della Fashion Revolution Week vi consiglio di informarvi il più possibile su questo tema che davvero rappresenta un’importante presa di coscienza da parte nostra e delle nuove generazioni.
Primo fra tutti mi sento di consigliarvi la visione del documentario Intrecci Etici, disponibile su Infinity Tv e che racconta il movimento slow fashion in Italia.

Inoltre in questi mesi sono usciti diversi titoli in libreria che trattano l’argomento e che possono essere validi strumenti per muoverci tra le vetrine della moda.
La rivoluzione comincia dal tuo armadio” di Luisa Ciuni e Marina Spadafora, edito da Solferino, racconta, attraverso la voce di una giornalista di costume e di una stilista milanese, l’avvento del fast fashion e le conseguenze del low cost, la bulimia dei consumi e le conseguenze dello spreco, le nuove schiavitù, l’esaurimento delle risorse e la crudeltà imposta agli animali. Consigliatissimo!

Di qualche anno fa ma assolutamente da leggere il bestseller “Siete pazzi a indossarlo!Perché la moda a basso costo avvelena noi e il pianeta” di Elizabeth L. Cline edito in Italia da Piemme: un’indagine mondiale, dalla Cina al Bangladesh all’Italia, sull’industria dell’abbigliamento a basso costo e sui pericoli e sulle conseguenze che l’accumularsi di “fast fashion” ha sulla nostra salute, sull’economia e sull’ambiente. E, non ultimo, sulla nostra anima, dato che la rincorsa all’acquisto produce compulsività, insoddisfazione, stress e perdita di personalità e stile.

Proprio dal tema dell’accumulare il superfluo, tendenza che ha preso davvero tutte noi negli ultimi anni con acquisti compulsivi soprattutto nei negozi di fast fashion, parte il nuovissimo libro edito da Vallardi di Giulia Torelli, esperta di moda e closet Organizer, seguitissima sul suo Rockandfiocc. (Anche di questo vi parlerò nei prossimi giorni con una recensione del libro)

Per iniziare la propria personale rivoluzione, che inizia proprio dal nostro armadio, ecco qualche consiglio da seguire nella scelta dei capi, così come nella loro cura. Semplici regole, forse da riscoprire, che cambieranno il nostro modo di vestire, di acquistare e col tempo l’intero sistema moda.

1) Quando acquistiamo capi di abbigliamento, scegliamoli di migliore qualità, fatti per durare nel tempo e non per essere utilizzati per un’unica stagione.

2) Una volta acquistati, andranno indossati più e più volte e non abbandonati nei nostri armadi o gettati via all’introduzione di una nuova moda.

3) Per far vivere un abito più a lungo, proviamo a ripararlo quando possibile e non a buttarlo appena la prima cucitura cede.

4) Per far durare di più i nostri abiti, non laviamoli troppo spesso: lavaggi frequenti e non necessari indeboliranno e scoloriranno le fibre, immettendo per altro nuovo inquinamento nelle acque e quindi nell’ambiente. Prima di lavare i nostri capi, chiediamoci se il lavaggio è proprio necessario o se magari possiamo indossare quell’indumento ancora una volta.

5) Facciamo attenzione a cosa compriamo: spesso dietro la presenza di prezzi bassi, c’è una realtà di lavoro sommerso o sfruttamento del lavoro che per indifferenza o superficialità tendiamo ad ignorare. Pensare che dietro il nostro ultimo maglione o pantalone potrebbe nascondersi il lavoro di un minore sfruttato, non dovrebbe forse invitarci a riflettere?

6) Puntiamo l’attenzione sui marchi sostenibili (a breve un articolo proprio con alcuni consigli sui brand più interessanti). Oggi è facile, dato che molte catene di abbigliamento stanno promuovendo collezioni sostenibili con sempre maggiore frequenza, improntate non solo su una produzione consapevole che rispetti l’ambiente ma anche e soprattutto sul rispetto dei diritti umani. Inoltre riscopriamo l’abitudine di acquistare nei negozi vintage o Second hand: oltre a fare una scelta sostenibile, vi assicuro che sarà divertente e stimolante. Oltre tutto come sapete la moda è ciclica e torna sempre, quindi non pensate di non trovare qualcosa di tendenza anche tra vecchie camice o accessori.

7)Quando i nostri abiti proprio non ci servono più, mai buttarli nella spazzatura: è possibile depositarli nei punti di raccolta degli indumenti usati presenti nei quartieri delle città o all’interno di parrocchie e associazioni dedicate. Ci saranno sicuramente persone meno fortunate di noi che potranno riutilizzarli.